Bibliomania
Il metaverso per chi non vive senza libri
Fondatrice e Presidente: Anna Ferrari.

MANIFESTO DEI BIBLIOMANI
Noi bibliomani amiamo i libri profondamente, li acquistiamo compulsivamente, ne accatastiamo a dismisura in ogni angolo libero del posto dove viviamo, non riusciamo mai a leggerli tutti e per questo ci strapperemmo i capelli, maledicendo il tempo (sempre poco) e la lentezza (esasperante) del nostro cervello.
La nostra unica casa è un libro, che è anche i nostri mille universi.
Non regaliamo mai i nostri libri, e neppure li prestiamo, figurarsi!
Noi possiamo sottolineare, scrivere appunti (anche se spesso sembrano appendici), disegnare punti esclamativi, faccette ironiche, sfilze di punti di domanda, ma non facciamo MAI orecchie! Sia mai!
Abbiamo un segnalibro, scelto con la massima cura maniacale, per ciascun volume, e, più spesso che no, anche una matita.
Chiunque condivida questo manifesto, è un Bibliomane e lo accogliamo a braccia aperte. I Neofiti beh, avranno un bel daffare ad adattarsi.
Troverete un sacco di cose: approfondimenti, racconti, informazioni libresche, bibliomani, bibliofile e letterarie, anche sitografie. Serve orientarsi: potete usare il banale indice.
Dal POST Il ciclo del tempo: febbraio
Sitografia:
https://polisemantica.blogspot.com/2019/05/la-simbologia-del-ciclo-dei-mesi-nelle.html
https://www.simbolisulweb.it/altri/simboli-significati-del-carnevale-feste-carnevale/
https://www.ecocastelli.it/a/tradizioni-e-curiosita-del-mese-di-febbraio/
Dal POST
Il ciclo del tempo: marzo
I Canterbury Tales
Per approfondire le informazioni sui Canterbury Tales, Geoffrey Chaucer, e Saint Thomas Beckett, potete usare la rete: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Canterbury_Tales è una sezione di Wikipedia molto ben fatta, in inglese e italiano, vi trovate anche notizie su Geoffrey Chaucer.
Qui:
https://canterbury-tales.fandom.com/wiki/Wife_of_Bath_(The_Canterbury_Tales)
trovate l’analisi e la spiegazione de “The Wife of Bath”, uno delle tales più belle, dove si celebra una donna forte, indipendente e libera (siamo nel 1400!).
Pier Paolo Pasolini ha fatto un film sui Racconti di Canterbury (1972).
Infine, trovate sia l’edizione inglese sia quella italiana in vendita su tutti gli store online.
La storia del pensiero delle donne
Per conoscere la storia del pensiero delle donne un libro eccezionale è Clarissa Pinkola Estes, Donne che corrono con i lupi. Tornando un po’ indietro nel tempo, inizio ‘900, quando non c’era più bisogno di pseudonimi (almeno questo!), Virginia Woolf scrisse A room of One’s Own, Una stanza tutta per sé, dove afferma che l’indipendenza la donna può raggiungerla anzitutto se ammazza “l’angelo del focolare” che c’è dentro ognuna di noi, e poi se si crea “una stanza tutta per sé” per scrivere, pensare, riposare, insomma prendere tempo per sé stessa. Avere una stanza ci ricorda che per essere libere abbiamo bisogno di guadagnare, ma in alcuni casi questa stanza può essere un posto della mente, inaccessibile agli altri. Molto interessante è poi la biografia di Ipazia. Nata ad Alessandra d’Egitto nel 355 e morta nel 415 d. C., assassinata, fu una matematica, astronoma e filosofa greca antica. Ipazia, di Silvia Ronchey, ci fa entrare nel mondo di questa donna, unica al suo tempo, che visse della sua mente.
La pioggia nel pineto, (Alcyone), Gabriele d’Annunzio
Lettura di Vittorio Gassman
TESTO
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Video spiegazione della poesia:
Il racconto: Cassandra, di Anna Ferrari
“Shakespeare’s s sister”, from A Room of One’s Own, Virginia Woolf
“Shakespeare’s sister”, from A Room of One’s Own, by Virginia Woolf
Dal post Il ciclo del tempo: aprile
Saint George and the Dragon
The legend of Saint George and the Dragon tells of Saint George (died at 303) taming and slaying a dragon that demanded human sacrifices. The story goes that the dragon originally extorted tribute from villagers. When they ran out of livestock and trinkets for the dragon, they started giving up a human tribute once a year. This was acceptable to the villagers until a princess was chosen as the next offering. The saint thereupon rescues the princess chosen as the next offering. The original narrative narrative was in the 13th-century Golden Legend.
The narrative has pre-Christian origins, such as the myths of Jason and Medea, Perseus and Andromeda, and it was particularly attributed to Saint Theodore Tiro in the 9th and 10th centuries, and was first transferred to Saint George in the 11th century.
The legend and iconography spread rapidly through the Byzantine cultural sphere in the 12th century. It reached Western Christian tradition still in the 12th century, via the crusades. The knights of the First Crusade believed that St. George, along with his fellow soldier-saints Demetrius, Maurice and Theodore, had fought alongside them at Antioch and Jerusalem. The warrior Saints were at the origins soldiers of the Roman Empire, during the persecution of Diocletian who converted to Christianism. The legend was popularised in Western tradition in the 13th century based on its Latin versions in the Golden Legend. The legend was popularised in the 13th century and became a favourite literary and pictorial subject in the Late Middle Ages and Renaissance, and it has become an integral part of the Christian traditions relating to Saint George in both Eastern and Western tradition.
In the well-known version from Jacobus de Voragine’s Legenda aurea (The Golden Legend, 1260s), the narrative episode of Saint George and the Dragon took place somewhere he called “Silene”, in Libya.
Silene in Libya was plagued by a venom-spewing dragon dwelling in a nearby pond, poisoning the countryside. To prevent it from affecting the city itself, the people offered it two sheep daily, then a man and a sheep, and finally their children and youths, chosen by lottery. One time the lot fell on the king’s daughter. The king offered all his gold and silver to have his daughter spared, but the people refused. The daughter was sent out to the lake, dressed as a bride, to be fed to the dragon.
Saint George by chance arrived at the spot. The princess tried to send him away, but he vowed to remain. The dragon emerged from the pond while they were conversing. Saint George made the Sign of the Cross and charged it on horseback, seriously wounding it with his lance. He then called to the princess to throw him her girdle, and he put it around the dragon’s neck. When she did so, the dragon followed the girl like a “meek beast” on a leash.
The princess and Saint George led the dragon back to the city of Silene, where it terrified the populace. Saint George offered to kill the dragon if they consented to become Christians and be baptized. Fifteen thousand men including the king of Silene converted to Christianity. George then killed the dragon, beheading it with his sword, and the body was carted out of the city on four ox-carts. The king built a church to the Blessed Virgin Mary and Saint George on the site where the dragon died and a spring flowed from its altar with water that cured all disease. Only the Latin version involves the saint striking the dragon with the spear, before killing it with the sword.
The Golden Legend narrative is the main source of the story of Saint George and the Dragon as received in Western Europe, and is therefore relevant for Saint George as patron saint of England.
The iconography of the Saint is widespread and differently depicted both in different times and different country.
Eastern
In the Middle Age in the Eastern, the Russian representations are relevant.
The oldest example in Russia was found on the walls of the church of St George in Staraya Ladoga, dated c. 1167. In Russian tradition, the icon is known as “the miracle of George and the dragon.” The saint is mostly shown on a white horse, facing right. The princess is usually not included. Another motif shows George on horseback with the youth of Mytilene sitting behind him.
Western
The motif of Saint George as a knight on horseback slaying the dragon first appears in western art in the second half of the 13th century. The tradition of the saint’s arms being shown as the red-on-white St. George’s Cross develops in the 14th century.
Then in the Renaissance lots of artist took on illustrating this legend, such as: (click on the links to see the paintings. Source: Wikipedia)
- Donatello, Saint George, c. 1417. Bargello, Florence, Italy.
- Paolo Uccello, Saint George and the Dragon, c. 1470. National Gallery, London.
- Raphael (Raffaello Sanzio), George, 1504. Oil on wood. Louvre, Paris, France.
- Raphael (Raffaello Sanzio), George and the Dragon, 1504–1506. Oil on wood. National Gallery of Art, Washington, D.C., United States.
- Tintoretto (Jacopo Robusti), Saint George and the Dragon, 1555.
Anyway, representations of Saint George and the Dragon continued till modern times with paintings, De Chirico for example, Rubens; sculptures, mosaic, engravings and even prints on banknote of the Bank of England.
The legend was reported also in literature. The English Renaissance poet Edmund Spencer introduced it in the first book of The Fairy Queen and William Shakespeare made a reference to Saint George in Richard III, Henry V and King Lear.
Lastly, the symbol of Saint George and the dragon was used also in Heraldry
SITOGRAPHY
- meanings symbols traditions of Aprile- Cerca (bing.com)
- https://www.personalreporter.it/news/le-tradizioni-di-aprile-storia-e-curiosita/
- https://it.wikipedia.org/wiki/Aprile
- Pasqua, ecco le cosa da sapere – Famiglia Cristiana
- Pasqua, etimologia e significato – Una parola al giorno
- Calcolo della Pasqua – Wikipedia
- Scrittori nati nel mese di aprile. Compleanni in punta di penna. (suldivanodeipigri.wixsite.com)
- Saint George and the Dragon – Wikipedia
Dal post Il ciclo del tempo: maggio
“The General Prologue – The Prioress”, from The Canterbury Tales, by Geoffrey Chaucer
There was also a nun, a prioress,
Who, in her smiling, modest was and coy;
Her greatest oath was but “By Saint Eloy!”
And she was known as Madam Eglantine.
Full well she sang the services divine(5)
Intoning through her nose, becomingly;
And fair she spoke her French, and fluently.
At table she had been well taught withal,
And never from her lips let morsels fall,
Nor dipped her fingers deep in sauce, but ate(10)
With so much care the food upon her plate
That never driblet fell upon her breast.
In courtesy she had delight and zest.
Her upper lip was always wiped so clean
That in her cup was no iota seen(15)
Of grease, when she had drunk her draught of wine.
And certainly she was of great disport
And full pleasant, and amiable of port
And went to many pains to put on cheer
Of court, and very dignified appear,(20)
And to be thought worthy of reverence.
But, to say something of her moral sense,
She was so charitable and piteous
That she would weep if she but saw a mouse
Caught in a trap, though it were dead or bled.(25)
She had some little dogs, too, that she fed
On roasted flesh, or milk and fine white bread.
But sore she’d weep if one of them were dead,
Or if men smote it with a rod to smart:
For pity ruled her, and her tender heart.(30)
Full properly her wimple pleated was.
Her nose was straight, her eyes as grey as glass,
Her mouth full small, and also soft and red;
But certainly she had a fair forehead;
It was almost a full span broad, I own,(35)
For, truth to tell, she was not undergrown.
Full stylish was her cloak, I was aware.
Of coral small about her arm she’d bear
A string of beads, gauded all round with green;
And from there hung a brooch of golden sheen(40)
On which there was first written a crowned “A,”
And under, Amor Vincit Omnia.
(The Ellesmere Manuscript (The Canterbury Tales) – The British Library)
TRADUZIONE
C’era inoltre una suora, una prioressa,
il suo modo di sorridere era semplice e timido.
La sua più grande esclamazione era “per San Loy!”(Sant’Eligio, patrono degli orefici)
Ed era chiamata Madam Eglatyne.
E lei cantava bene l’inno, con una (voce) fine
Intonata un po’ nasale(lett = attraverso il suo naso), che era x lo più simile,
e lei parlava fluentemente il francese, estremamente, dopo
(aver frequentato)la scuola di Stratford-atte-Bowe.
Non conosceva il francese parlato a Parigi.
Anche a tavola le sue maniere erano ben pensate:
non lasciava cadere una briciola dalle sue labbra,
non immergeva le sue dita nella salsa troppo in profondità; ma lei poteva portare (alla bocca) un pezzetto e tenere
la più piccola traccia lontana dal cadere sul suo petto.
Aveva una naturale predisposizione (un dono naturale= lett) per la cortesia,
e lei poteva tenere il suo labbro superiore cosi pulito
che nessuna traccia di grasso potesse esser vista,
sulla coppa nella quale aveva bevuto. Nel mangiare
Lei muoveva elegantemente la mano a tavola.
Era molto di compagnia,
accondiscendente e amichevole a modo suo, e sforzandosi
di simulare un moto cortese di grazia,
teneva una posizione retta e regale in concomitanza con la sua posizione
e per sembrare dignitosa in tutte le sue relazioni.
Come per simpatia e dolci sentimenti,
era sollecità alla carità
era solita piangere se vedeva un topo
catturato in una trappola, se era morto o sanguinante.
E aveva piccoli cani che nutriva
Con carne arrostita, o latte, o raffinato pane bianco.
Un po’ piangeva se uno di loro moriva
O se qualcuno li picchiava o li faceva soffrire;
era tutta sentimentalista e di cuore dolce.
Il suo velo(/volto) era radunato(/fatto) in un modo simile,
il suo naso era elegante, gli occhi grigio-vetro;
la sua bocca era molto piccola, ma rossa e soffice,
la sua attaccatura (dei capelli), certamente, era ampia,
almeno una spanna la fronte, lo riconosco;
lei infatti era senza pensieri nascosti.
il suo mantello, io dissi, aveva un carisma di grazia.
Indossava un braccialetto di corallo sul suo braccio,
un rosario, le cui pietre erano in verde,
Da cui pendeva un gioiello d’oro dalla luce chiara
Sul quale inizialmente c’era incisa una A coronata,
e più in basso, Amor vincit omnia.
A poem by William Blake in Songs of Experience: “The Sick Rose”, from The Blake Archive.

Dal post Il ciclo del tempo: Luglio
Gaio Giulio Cesare
Gaio Giulio Cesare (in latino Gaius Iulius Caesar) nacque a Roma, nel quartiere Suburra, in una nobile famiglia la gens Iulia, che annoverava tra gli antenati il primo re romano, Romolo.
Cesare fu un condottiero, un generale, un politico, un console, uno scrittore e infine il primo dei 12 Cesari, come lo definisce lo storico Svetonio.
Il nome “cesare” oggi designa un abile capo, lo stesso Cesare è rimasto una leggenda anche nell’immaginario collettivo. Era un uomo di indiscusso coraggio e di grande intraprendenza, un uomo che fece del potere la sua missione di vita, convinto anche di poter esaltare il prestigio della sua patria, Roma.
Nato nel 100 avanti e ricordiamo brevemente che prima di Cristo gli anni si contano alla rovescia Grazie alle sue indiscusse capacità militari e strategiche, portò l’esercito romano e quindi il potere di Roma fino all’oceano, per la prima volta portò le truppe in Spagna, in Germania in Britannia, dove ancora oggi esiste il Vallum Adrianum che segna il confine ultimo dell’avanzata romana che non riuscì mai a conquistare la Scozia: il Vallum fu costruito nel 122, Cesare arrivò con i suoi centurioni attorno al 55 a.C.
Contemporaneamente si dedicò a riformare la Repubblica. Creò una nuova forma di governo, il triumvirato insieme a Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso. Il desiderio di potere non permise a Cesare di mantenere a lungo questa alleanza: quando Crasso morì, Cesare attaccò e. Nel 49 a. C. Cesare passò il Rubicone (che segnava il confine di Roma), pronunciando la famosa frase “Alea iacta est”, il dado è tratto, idioma che ancora oggi viene usato quando si fa una scelta pericolosa, e se ne aspettano le conseguenze. Cesare diede inizio alla guerra civile tra coloro che gli erano favorevoli e gli oppositori, gli optimates, sconfisse Pompeo a Farsalo e assunse il titolo di dictator. Nominato dittatore a vita e poi imperator assunse di fatto il potere assoluto, così attuando la transizione di Roma da Repubblica a Impero. Tuttavia, i senatori erano invidiosi della crescita così fulminea e del successo di Cesare, e temevano di perdere i propri privilegi. Costoro misero in atto una congiura per ucciderlo.
Si sarebbero dovuti trovare con Cesare in Senato la mattina del 15 marzo. Calpurnia, la moglie di Cesare, aveva fatto sogni spaventosi, e Cesare stesso aveva sognato di volare. Calpurnia lo supplica di rimanere a casa, ma egli risponde di preferire una morte repentina ai malanni della vecchiaia. Molti altri segni funesti vi erano stati: divampavano fuochi dappertutto, le cavalle che egli aveva liberato dopo il passaggio del Rubicone si misero a piangere a dirotto, durante un sacrificio, Cesare non trovò il cuore della vittima, simbolo di enorme pericolo. Appena prima di entrare nella Curia di Pompeo dove si riuniva il senato, un aruspice gli ricordò di guardarsi dalle Idi di Marzo. Egli rispose che le Idi erano arrivate e lui era vivo. L’aruspice gli disse che non erano ancora trascorse.
Cesare, dunque, entrò nella Curia e con un sotterfugio fu pugnalato al collo, quindi ucciso con 23 pugnalate. Mentre moriva, come Shakespeare ci racconta nella tragedia Giulio Cesare, Cesare riuscì a sussurrare: “Tu quoque Brute, fili mi”, poiché tra i suoi assassini c’era anche suo figlio Bruto.
Cesare ci ha anche lasciato un corpus di scritti dove racconta della guerra contro i Galli, Commentarii de bello Gallico. Egli si sofferma anche a descrivere gli usi e costumi di quelle popolazioni, e da uomo intelligente dalla mente aperta, questi gli provocano una certa ammirazione.
Quante cose straordinarie si potrebbero ancora narrare sulla figura di quest’uomo, in fondo così trasparente nella sua volontà di vittoria e nello stesso tempo così abile e cauto da nascondere sempre i propri intenti.
Le fonti più vicine a lui che ne narrano la vita sono Svetonio, Vite dei dodici Cesari; Plutarco, Cesare.
A questo link potete trovare quelli che sono considerati i dieci migliori libri su Caio Giulio Cesare.
Ercole e le dodici fatiche
Ercole è un personaggio della mitologia greco-romana, un semidio di enorme forza, tanto che ancora oggi il suo nome si usa per indicare un uomo assai vigoroso.
Soprattutto Ercole viene ricordato per le sue famose dodici fatiche, che in realtà dovevano essere solo 10.
La nascita di Ercole è abbastanza avventurosa come capita spesso nei miti. Avrebbe dovuto essere il frutto dell’unione tra anfitrione e Alcmena, una donna bellissima, ma mentre il marito era in guerra, Zeus ne assume le sembianze e si unisce ad Alcmena. Dalla loro unione nasce Ercole. Come in ogni mito che si rispetti, Era viene a sapere dell’inganno di Zeus, il quale tra l’altro era stato tanto borioso da vantarsi della nascita di questo figlio; quindi, Alcmena capendo che questo figliolo sarebbe stato perseguitato dalla regina dei cieli, chiese aiuto al padre. Zeus inviò Hermes e mentre Era dormiva prese il bambino celeste e lo avvicino al seno della dea facendogli succhiare un po’ di latte divino per farlo diventare un dio. Era si svegliò perché il bambino la l’aveva morsicata, facendo cadere dal seno un po’ di latte che diede vita alla Via Lattea. Ercole divenne così un eroe che si dedicò al bene delle persone, compiendo grandi imprese.
Come si sa, le cose nei miti non vanno sempre lisce. L’eroe sposa Megara ed ebbe otto figli. Un giorno la sposa, da sola, venne violentata da un nemico di Ercole. Questi ne fu sconvolto tanto che impazzì e uccise la moglie e tutti figli. Rinsavito, l’eroe voleva suicidarsi, ma Teseo riuscì a farlo desistere e gli disse di recarsi a Delphi per trovare un modo per poter espiare i propri peccati. L’oracolo disse a Ercole che doveva mettersi al servizio del re di Argo Micene e Tirinto, cioè Euristeo, e questi gli ordinò di compiere le famose dieci fatiche, che vedremo come divennero dodici.
La prima prevedeva che uccidesse l’invincibile Leone di Nemea.
Doveva poi far fuori l’Idra di Lerna, un mostro a otto teste a forma di serpente. L’unico modo per ucciderla era di tagliare la testa centrale. Era, però, non stette lì semplicemente a guardare, ma rese le cose ancora più difficili e mandò contro l’eroe un enorme granchio. Neanche a dirlo, Ercole vinse su tutti ed Era
fece sì che i due mostri sconfitti divennero costellazioni: quella dell’Idra e quella del Cancro (granchio in latino è cancer). Tuttavia, Euristeo non considerò valida l’impresa, perché Ercole era stato aiutato da un suo compagno. Perciò aggiunse l’undicesima.
Dovette poi uccidere la Cerva di Cerimele una splendida cerva sacra ad Artemide con le corna d’oro e gli zoccoli di bronzo, che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva e quindi trascinandolo in un posto magico dal quale non avrebbe mai fatto ritorno. Anche questa volta Ercole è vittorioso, ma deve passare subito alla fatica seguente: catturare Il Cinghiale di Erimanto.
Anche questa terribile creatura fu sconfitta, l’altra prova fu quella di eliminare i mostruosi Uccelli di Stinfalo che avevano penne ali artiglio e becco di bronzo e ammazzavano tutti quelli che passavano di lì perché si nutrivano di carne umana. Immaginatevi che odore nauseabondo tutti ci fosse intorno al lago di Stinfalo. Atena allora consegnò a Ercole delle nacchere di bronzo che spaventarono gli uccelli che furono quindi facilmente raggiunti dalle frecce di Ercole.
Il compito successivo fu pulire le Stalle di Augia che erano talmente grandi che non bastavano 1000 e 1000 persone a ripulirle. Ercole promise che gliel’avrebbe pulite in una notte. Il re, incredulo, in cambio gli offrì metà delle sue ricchezze.
Euristeo però disse ad Ercole che la fatica non era più valida perché lui non doveva ricevere compensi.
Dovettero quindi aggiungerne un’altra.
Le altre fatiche furono uccidere le Cavalle di Diomede che si nutrivano della carne dei caduti in battaglia. Ormai soldati non c’erano più, quindi Diomede preparava dei gran banchetti e dava gli ospiti come pasto a queste due cavalle. Il mito dice che Bucefalo il cavallo di Alessandro Magno fosse discendente di queste cavalle
Altra impresa fu catturare il Toro di Creta che devastava i domini di Minosse sovrano dell’isola. Poseidone, re del mare, infatti aveva mandato al re un toro possente perché glielo offrisse in sacrificio, ma Minosse non lo fece. Proprio per questa ragione Toro (che in realtà era Zeus) si unì con Pasifae moglie di Minosse e fece nascere il Minotauro, questa però è un’altra storia. Il Toro invece fu naturalmente sconfitto da Ercole. Il nostro eroe doveva poi rubare la stupenda cintura di Ippolita regina delle Amazzoni.
La decima fatica fu catturare i leggendari Buoi Rossi di Gerione, un mostro che aveva tre tronchi tre teste e tre paia di braccia, geloso dei suoi splendidi animali. Il gigante aveva posto come custode delle sue mandrie un mostruoso cane Ortro, figlio di Echidna, un mostro dal copro di donna e con una coda di serpente al posto delle gambe.
Anche questa volta Ercole riesce nella sua impresa.
Dovette poi recarsi al Giardino delle Esperidi che Gea la madre terra aveva regalato a Zeus ed Era come dono di nozze. Le Esperidi erano ninfe, figlie della notte, che lo custodivano il giardino insieme al drago Ladone dalle 100 teste. Inoltre, nessuno sapeva dove fosse questo giardino. Ercole grazie alle informazioni di Prometeo che lo diresse ad Atlante, padre delle Esperidi, venne a sapere dove fosse il giardino; prese quindi i pomi d’oro delle Esperidi e le porto ad Euristeo.
Infine, la dodicesima fatica fu la cattura di Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste che Dante mette a guardia dell’inferno. Infatti, Cerbero si trova nell’Ade, l’aldilà mitologico. Ercole prende il Cerbero e lo porta ad Euristeo il quale, morto paura, gli ordina di riportarlo indietro.
Ercole era finalmente libero!