Un Viaggio Letterario Contro il Conformismo, da Plath ad Auden.

Non so quanti lustri fa Francesco Guccini cantava:

immagine della copertina del LP Via Paolo Fabbri 43 di Francesco Guccini, contente la canzone L’avvelenata” di Francesco Guccini

Voi critici, voi personaggi austeri
militanti severi, chiedo scusa a vossìa
però non ho mai detto che a canzoni
si fan rivoluzioni, si possa far poesia
io canto quando posso, come posso
quando ne ho voglia senza applausi o fischi
vendere o no non passa fra i miei rischi
non comprate i miei dischi e sputatemi addosso.

Qualche lustro dopo, novello Cirano feriva con la spada, ma soprattutto coi versi:

Venite pure avanti, poeti sgangherati
Inutili cantanti di giorni sciagurati
Buffoni che campate di versi senza forza
Avrete soldi e gloria, ma non avete scorza
Godetevi il successo, godete finché dura
Che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
E andate chissà dove per non pagar le tasse
Col ghigno e l’ignoranza dei primi della classe
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
Però non la sopporto la gente che non sogna

Gli orpelli? L’arrivismo? All’amo non abbocco
E al fin della licenza io non perdono e tocco
Io non perdono, non perdono e tocco!

Vedeva poi nella battaglia di Don Chisciotte una lotta sacrosanta:

Nel mondo oggi, più di ieri, domina l’ingiustizia
Ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia

Proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto

D’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto
Vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
L’ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso
E a te, Sancho, io prometto che guadagnerai un castello
Ma un rifiuto non l’accetto, forza sellami il cavallo!
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
E con questo cuore puro, col mio scudo e  Ronzinante   
Colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte
Com’è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte!

Più o meno negli stessi anni, Sylvia Plath si addormentava con la testa nel forno perché suo marito, anch’egli poeta, non ammetteva che lei esprimesse la sua grandezza di poeta.

    The Bell Jar (La campana di vetro)

    Virginia Woolf, qualche decennio prima di Sylvia, si incamminava nel fiume Ouse con delle pietre in tasca, perché stava arrivando un’altra guerra, certo. Era però la guerra più atroce, dentro di lei, che non era riuscita a vincere: più forte di tutto, più compatta che mai, era la volontà di renderla normale, di “curarla”, di non farla più entrare in quel limbo da cui tutti erano esclusi e che la allontanava da un mondo dove quello che sentiva nel cuore e che scriveva era considerato dai “critici severi”, perlopiù uomini, frutto di una grande scrittrice… appunto,  non reale.

    Nella Grecia antica, Socrate pur di non compiacere il potere, si lasciò suicidare.

    Non so etimologicamente quando sia nata la parola “consenso”, di sicuro ha cambiato significato nel corso del tempo, e ormai è diventata la parola, anzi l’imperativo dominante della cultura e della condotta morale della società.

    Consenso, consenso e ancora consenso.

    Gli insegnanti lo cercano dagli studenti, sia mai che vengano considerati troppo rigidi e distaccati. I presidi lo cercano da quelli che ormai sono i clienti, c’è il pericolo che la scuola chiuda, e loro perdano un copsicuo stipendio, che è andato via via aumentando. Il consenso si paga.

    I genitori lo cercano dai figli, chiedono a loro cosa va bene o non va bene, loro seguono tutte le trasmissoni, tutte le pubblicità, eppure si sentono persi.

    I ragazzi lo cercano nel gruppo, e con il gruppo guardano tutti dalla stessa parte. Come farebbero altrimenti a sopravvivere agli ormoni impazziti della loro età, ai diktat sociali, invisibili, ma indistruttibili come catene di ferro?

    Scriveva William Blake alla fine del 1700:

    In every cry of every Man,
    In every voice: in every ban,
    The mind-forg’d manacles I hear (le manette forgiate dalla mente –  che imprigionano la mente)

    (Songs of Experience, “London”, 1794)

    I cosiddetti “strange”, ossia coloro che per quelli come me erano solo omosessuali, cercano il consenso dei media, dei politici, della società tutta per vivere quella che è la cosa più privata del mondo, quei momenti in cui gli esseri umani sono più indifesi e vulnerabili, quella per cui gli adolescenti soffrono: la sessualità.

    Hanno perfino paura che se perdessero il consenso non saprebbero più essere quello che dichiarano di essere,  così ne è nato tutto un circo di sigle, leggi, leggine, comportamenti, omologati e sanciti ancora una volta dal consenso.

    Nel 1936 W. H. Auden scriveva:

    He was my North, my South, my East and West,                          Ritratto fotografico di Wynstan H. Auden
    My working week and my Sunday rest,
    My noon, my midnight, my talk, my song;
    I thought that love would last for ever: I was wrong.

    (Wystan Hugh Auden,” Funeral Blues”)

    Liberamente, il suo cuore non mentiva, né si catalogava in alcuna etichetta. Gli bastava amare.

    Sui social il consenso è la legge. Si cerca il consenso, altrimenti niente follower, niente lead, niente conversioni. Niente soldi.

    In letteratura si cerca il consenso, si scrivono enne quantità di gialli, thriller e fantasy. Perché vendono ovvio. E perché vendono? Perché idealizzano, cioè, rendono appetibile e migliore la parte più oscura e malvagia della società. Offrono uno schermo dietro il quale si possa dire “va tutto bene”.

    A Hollywood si cerca il consenso, una legge stabilisce che in ogni – ogni – produzione debba esserci una coppia omosessuale.

    Il consenso lo si cerca anche mascherati da esperti, formidabili formatori, insegnanti specializzati. Tutti possono insegnare tutto. Qui il consenso è d’oro: fa fare fatturati davvero da capogiro. E poi ci sono i formatori dei formatori, dei formatori, dei formatori…. All’infinito.

    Dei politici, in tutto il mondo, possiamo anche non parlare: dicono tutti le stesse enormi stupide bugie per intortare gli elettori, scelgono quindi la strada più facile e poi fanno credere, da abilissimi marketers quali sono, che il loro prodotto è eccezionale. Evasione fiscale? Facciamo un condono. Non cerchiamo, sia mai,  di correggere un sistema che è talmente corrotto e bucherellato che da decenni l’evasione ha cifre da capogiro. Come risolvere? Correggiamo il modello che abbiamo, rendiamolo meno trasformabile. No, creiamo la dichiarazione elettronica, così i cittadini sono contenti. E il problema ovviamente non si risolve, ma gran parte del consenso (giusto quella percentuale che ci serve) lo abbiamo ottenuto.

    Ci sono assenteisti? Mettiamoli alla gogna, linciamoli, svergogniamoli sulla pubblica piazza. È la via più facile. Perché invece non cercare la causa di quel sintomo? Stipendi troppo bassi? un ambiente di lavoro più a misura d’uomo? O dove si premia chi lo merita?  Non so, non sono un sociologo, non li difendo, dico solo che il problema andrebbe considerato un po’ meno in superficie. Comunque, anche in questo caso, si sceglie la strada più facile. Il consenso. Abbiamo il perfetto capro espiatorio, mica vogliamo metterci i bastoni tra le ruote da soli!

    E a chi si rivolgono i teens per il loro difficile e complicato cammino verso l’età adulta? Oggi reso ancora più complesso da un’epidemia mortale mondiale, che li ha isolati per quasi due anni, e dal fatto di non poter nemmeno più parlare liberamente di sessualità, scanso usare l’etichetta sbagliata. Al bonus psicologico? Oppure a un personaggio dei cartoni animati, perdipiù congelato: FROZEN. Coincidenza? NO, consenso.

    Congeliamoci tutti e tutto filerà più liscio, non ci saranno ritardi nei programmi, saremo tutti a tavola all’ora di cena, e il paese si incamminerà senza scossoni verso la strada già approntata.

    Violenza sulle donne? Facciamo mostre, conferenze, mettiamo le scarpette rosse sulle strade. Inventiamoci murales, dibattiti. Bisognerebbe ricordarsi che le scarpette rosse son le protagoniste di una fiaba di Hans Christian Andersen per stigmatizzare la vanità eccessiva, la ricerca della bellezza esteriore. Non è che abbiamo sbagliato simbolo?

     

    Mentre scrivo, probabilmente errando, senza troppa precisione, preda dei miei sentimenti, sento una morsa allo stomaco, ho voglia di piangere, sono indignata, schifata, disperata. Ma anche tanto arrabbiata. Adotto allora l’unico metodo che conosco, quello che ho sempre usato per conoscere il mondo: leggere, buoni libri, se possibile capolavori letterari. Ossia, chiedo aiuto a chi ha avuto la capacità di vedere oltre. E scrivo.

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